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IERI, OGGI,
DOMANI

"Perla della Lessinia", "piccola Cortina" sono solo due dei tanti nomi attribuiti al paese di Cerro Veronese, che però non è solo turismo. 

 

Nella foto, una veduta contemporanea del Monte della  Croce.
 

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Posizionato ad una ventina di chilometri a nord-est della città di Verona, può essere considerato una delle porte della Lessinia, della cui storia è sempre stato protagonista: fu infatti uno dei  tredici comuni della montagna veronese colonizzati dalla popolazione tedesca dei Cimbri. I coloni arrivarono alla fine del Duecento e tracce della loro cultura sono sopravvissute fino ad oggi, anche se già a partire dal Seicento la diffusione della lingua è andata scemando.

Nella foto, una giassara vicino alla località Lonico.

Il territorio del comune di Cerro, però, risulta essere stato abitato molto prima: sono stati ritrovati sedimenti risalenti all'età del Rame (a partire dal 5.000 a.C.) e addirittura all'età Paleolitica Superiore (40.000-10.000 a.C), che rivelarono agli studiosi del museo di Storia Naturale di Verona vari manufatti di notevole importanza archeologica.

Nella foto, il Coale del Mondo, luogo dove ci furono alcuni dei ritrovamenti.

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I ritrovamenti risalgono al periodo 1947-1953, anni in in cui Cerro riacquistava l'indipendenza comunale e si preparava ad alcuni tra i maggiori cambiamenti della sua storia.

Una veduta di Cerro precedente al boom.

Gli anni sessanta determinano il boom economico italiano e Cerro, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta ha visto mutare profondamente il suo tessuto sociale ed economico: il paese diventa una nota meta turistica grazie alla sua posizione e alle vantaggiose condizioni climatiche e sul territorio sorgono villette e piccoli condomini. La popolazione cresce, da meno di mille persone nel '61 a 2434 nel 2011, e cambiano le occupazioni: l'agricoltura vede progressivamente perdere la sua predominanza a scapito dei settori secondario e terziario.

Nella foto, una veduta di Cerro negli anni '80.

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Nel 2019 Cerro è un paese che si è avvicinato alla città e si è aperto al mondo e l'evento dedicato a don Angelo Vinco è l'emblema di chi vuole vedere l'altro e la diversità come opportunità di crescita per il futuro.

Nella foto, una veduta contemporanea di Cerro.

Bibliografia:

-Giuseppe Franco Viviani, Cerro Veronese, un territorio e una comunità della Lessinia Centrale, Bi&Gi Editori, Verona, 1985.

-Giovanni Solinas, Cerro Veronese, monografia comunale del centro studi e ricerche di Verona, Edizioni Guide Bruno Trombin, Verona 1964.

Itinerari e specifiche su Cerro e dintorni:

CAPPELLA DEL REDENTORE SUL MONTE CROCE

   

 

Sul Monte della Croce, a pochi passi dal centro, sorge una caratteristica costruzione ottagonale visibile da buona parte della provincia di Verona che è un po' il simbolo di Cerro: è la cappella dedicata al Redentore, costruita nel 1900 (cioè all'inizio del secolo scorso, consacrata appunto da Leone XIII a Cristo Redentore) per volere del parroco e degli abitanti del luogo in sostituzione di una croce preesistente che ha dato il nome al monte.

   

Nell'interno della cappella dietro all'altare (su cui spicca una tela di buona scuola) è stata ricavata una scaletta, con la quale è possibile raggiungere la balconata superiore la cappella stessa. Qui si può godere di uno dei balconi naturali più grandiosi della Lessinia: di cui l'occhio spazia per 360 gradi fino ad intravvedere, nelle giornate limpide, i grossi centri della pianura, i gruppi montuosi oltre il Garda e - in particolari condizioni di trasparenza, ad esempio dopo un temporale che abbia ripulito la pianura dalle sue foschie - tutta la catena dell'Appennino settentrionale.

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IL CERRO

   

 

A fianco della parrocchiale si erge una grande pianta, la secolare cerro-sughera(Quercus crenata o pseudosuber) che si eleva nella piazza storica; conta non meno di tre secoli: grande dunque ma anche vetusta, con la sua circonferenza di ben quattro metri, alta oltre i 19 metri ed una chioma maestosa.

Nella foto, la capella in una vecchia cartolina dell'archivio fotografico Lughezzani.

Trattasi di una pianta rara, quercia sempreverde forse dovuta ad ibridazione che fiorisce in aprile-maggio e con ghiande presentanti una cupola con squame dall'apice ricurvo. Le foglie sono coriacee, di colore verde scuro nella pagina superiore e biancastro nella pagina inferiore, leggermente pubescente. La corteccia è rugosa e sugherosa. Questa pianta ha dato l'attuale nome al Comune.

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Nella foto, il Cerro con, sotto, il monumento ai caduti.

LA CHIESA PARROCCHIALE

 

 

Tempio neoclassico, sorse alla fine del secolo XVIII ed il 1805 ampliando una precedente chiesa, di cui resta il campanile che porta scolpita sul lato nord la data 1691. Fu consacrata il 28 agosto 1832. La facciata presenta una scalinata che porta all'ingresso e quattro lesene con capitelli che sostengono il timpano. A sinistra vi è la statua di San Osvaldo ed a destra quella di San Bernardo.

 

L'interno è in stili diversi con decorazioni della storia della salvezza di Pietro Negrini del 1930, restaurate nel 1985 da Licinio Speri. Ricchi di marmi i quattro altari laterali e l'Altar Maggiore del 1832. Sopra la porta della Sacrestia vi è la statua di San Giovanni Nepomuceno mentre i due santi patroni principali, Osvaldo (re di Northumbria, regione dell'Inghilterra, viene considerato dagli inglesi come artefice della conversione del popolo inglese dal paganesimo al cristianesimo. Morì nella battaglia di Masefield il 5 agosto 642, combattendo in difesa della fede cristiana e del suo popolo, e venne venerato come un martire della fede) e Bernardo (nacque nel 1090 presso Digione nella Borgogna, in Francia. Nel 1111 si associò ai monaci Cistercensi e poco dopo, eletto abate del Monastero di Chiaravalle, guidò i monaci alla pratica delle virtù con l'azione e con l'esempio. Scrisse molte opere riguardanti la teologia e l'ascetica. Morì nel 1153), sono raffigurati nelle vetrate dell'abside, realizzate nel 1970.

   

Nella chiesa vi sono alcune interessanti pale, tra cui una con San Francesco, san Bernardo e San Carlo che tengono il diavolo incatenato, della scuola del Brusasorzi.

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Nella foto, una veduta della chiesa parrocchiale di Cerro.

LA GIASSARA

   

Il Museo Ergologico, istituito nel 1990 nella giassàra dei Carcereri di Cerro, conserva illustrazioni e descrizioni della produzione e vendita del ghiaccio, una mostra permanente che spiega il lavoro del giassaròl della Lessinia.

   

Con le sue 27 ghiacciaie, Cerro aveva nel suo territorio la più alta densità di questi depositi nella Lessinia. I suoi giassaròi portavano, su di un carro apposito, oltre 15 quintali di ghiaccio per ghiacciaia ogni giorno alla città. Il viaggio era lungo e per evitare il calore del sole avveniva di notte, con tutti i pericoli che ne derivavano. Il lavoro dei giassaròi iniziava a metà giugno per concludersi a fine agosto, normalmente con l'esaurimento delle scorte. 
Il funzionamento delle ghiacciaie continuò a stenti fin dopo la seconda guerra mondiale, quando l'affermarsi delle fabbriche di ghiaccio fece definitivamente abbandonare questi edifici.

   

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Nella foto, l'igresso della giassara dei Carcereri

CAPITELLI

  

Abbastanza consistenti sono le testimonianze nel territorio di Cerro di capitelli, edicole, steli e croce votive, tutte frutto comunque di una convinta religiosità e pietà popolare, ed espressione semplice, ma significativa di arte minore.  

Si tratta di simboli sacri posti in contrade, su crocicchi o in luoghi di passaggio obbligato, in prossimità di fontane, di luoghi storici, di luoghi teatro di particolare avvenimenti felici e dolorosi che intendono ricordare.

 

Frutto di una fede e di una tradizione religiosa contadina e montanara che voleva immagini della Vergine, di Cristo o di Santi a protezione del luogo, o anche di ex-voto, i capitelli del comune di Cerro sono dedicati in gran parte alla Madonna o a qualche santo adiutor (aiutante), protettore dei lavori agricoli. I più antiche risalgono al XVI sec. e conservano pochi brani di affreschi e pitture, ma soprattutto statuette o piccoli quadri.

   

Quasi ogni contrada ha il suo capitello che in passato durante il mese di maggio, era adornato con fiori e luminarie; oggi comunque, in numerosi casi vi si recita ancora dinanzi il rosario, e a volte, è al centro della festa del patrono della contrada.

   

Ricordiamo in particolare i capitelli di via Belvedere, di Montarina, di Cavazze e di Conche, i sacelli di Carcereri e di Gonzi, le steli di cancellata (del 1577, che ricorda l'uccisione di don Angelo Busato per rapina), di Roboli (del 1550) e di via Belvedere a Cerro (del 1752).

   

Diverse anche le croci a pietra a ricordo di disgrazie accadute (dalle croci di Montarina del 1886, del 1906 e del 1915, della croce i Lavello del 1908).

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Nella foto, il capitello del 1739 della contrada Roboli.

Da menzionare sono poi alcuni dipinti su facciate di abitazioni rivolte a Sud, tra cui quella del Crocifisso e della Madonna con Bambino a Montarina e quella in abbandono di Pràole (sul baito). Tutte testimonianze che non possono andare perdute.

   

Nella giassàra dei Carcereri (che ha 200 anni) il visitatore può ammirare l'eleganza architettonica dell'edificio circolare in pietra, che serviva appunto come deposito per il ghiaccio; annessa a questo vi è una pozza ovale e un portico ad un solo spiovente. Scendendo da una scala appositamente aggiunta all'immobile originario, si può penetrare nel deposito e raggiungere il fondo della ghiacciaia, collocandosi nell'identica posizione in cui lavorava l'uomo addetto alla sistemazione o al prelievo delle lastre di ghiaccio e comprendere la complessità del lavoro che in quel luogo veniva svolto.

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